Pubblichiamo, con licenza di entrambi gli scriventi, cui vanno i ringraziamenti della redazione, uno scambio di email tra un insegnante di una scuola superiore del nord Italia e Aldo Busi.
Da: Paolo Baggi
A: info@altriabusi.it
Oggetto: educazione degli educatori
So che il signor Busi non è uso interagire con i lettori ed è uno dei motivi che me lo rende così simpatico: la prendo come prova di serietà, oltreché di disprezzo verso un facile narcisismo.
Ma si è dato il caso che io diventassi docente e mi sia trovato ad aver venti e passa orecchie da sfamare ogni mattina. Non sono nemmeno orecchie normali, perché sono perlopiù sorde, rese insensibili all’intelligenza, al gusto, alla giustizia. Insomma, io sono in difficoltà. Questi ragazzi sono quelli che trent’anni fa avremmo chiamato i figli dei poveri: figli di operai, di casalinghe, di piccoli artigiani della provincia. I figli che P.P.P. aveva descritto così bene, di cui aveva amato l’ingenuità, la piccola furbizia pratica che fa male a loro stessi prima che agli altri, ma a cui aveva già diagnosticato la noce del cancro. Oggi è difficile non avere pena di loro e per amarli occorre una speranza che non abbiamo più. Com’è brutto dirlo, ma lo si dica: sotto i vestiti firmati di firme nuove, in quei corpi omogeneizzati da tatuaggi che più che ornarli descrivono la loro personale miseria, non si intravede alcuna cultura alternativa, alcuna critica sociale, alcuna protesta. Una nullità morale che ha tutto il diritto di ingozzarsi di scemenze. Le loro famiglie non hanno strumenti, la scuola non ha strumenti, nemmeno i loro docenti hanno più gli strumenti culturali per far fronte a un vuoto simile: a un ragazzo di sedici anni non è più possibile insegnare a metter l’acca davanti alla a, e quindi nemmeno insegnargli a non picchiare sua moglie. In futuro lo farà senz’altro. Io insegno nella formazione professionale: il ricettacolo di quei ragazzi che la scuola di stato non vuole nemmeno vedere, che dimentica dopo la terza media. La mia scuola fa scuola a chi non capisce, ha genitori che non capiscono, amici che non capiscono. Ragazzi spesso al limite dell’analfabetismo, extracomunitari di seconda generazione, gente che non verrà educata nemmeno dal lavoro, perché lavoro non ce n’è. Non emigreranno, cresceranno qui, arrabbiati, ciechi, invidiosi, incapaci.
Ecco, appunto: si è dato il caso che io oggi ce li abbia in classe per cinque ore filate. Si è dato il caso che debbano ascoltare le mie parole. Il signor Busi non è uomo di un libro solo, nella sua vita ha incontrato la disgrazia, sua e altrui: non ne ha paura. Non crede che sarebbe bello, per un intellettuale, dedicare del tempo all’educazione degli educatori? Ci ha dedicato l’intera sua opera, lo so. Ma non è abbastanza, e questo lo deve sapere anche lui. Occorre la sua faccia, il suo corpo, la sua presenza. Sarebbe impensabile dar vita a dei seminari a invito per docenti sotto i quaranta che hanno bisogno di aiuto? Davvero questo compito deve essere delegato ai corsi di aggiornamento? Io ho bisogno che la buona letteratura si faccia voce e che risponda alle mie domande. Ne ho molte ed esigono risposte intelligenti.
Con affetto e stima.
Paolo Baggi
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La risposta di Aldo Busi:
Grazie alla redazione di altriabusi.it se vorrà inviare a Paolo Baggi la seguente mail, oltre a chiedergli il permesso di pubblicare questo carteggio:
Baggi! Io non sono mai stato e mai sarò un Padre della Patria, conosco i miei limiti e, ormai, anche quelli delle mie forze restanti. Non mi sono mai risparmiato, non posso rimproverarmi niente; inoltre, sono stato molto provato negli ultimi venti anni dal mio far fronte, da solo e mai difeso da alcuno, a infamie inventate di sana pianta contro di me, il mio pensiero, la mia opera, la mia stessa vita; ne ho portato il peso senza gravarne le spalle di nessuno, ho assunto posizioni di vera e ardua lotta per la difesa di tante persone deboli e debilitate dall’ingiustizia sociale, e non sono mai stato guidato in questo da alcun tornaconto personale di immediata, meschina riscossione sociale, economica, istituzionale. Ho il diritto di resistere a ogni altra chiamata alle armi, e Lei nemmeno può immaginare il disgusto, la nausea, la fatica che comporta per me oggi ogni apparizione in pubblico e, quasi contemporaneamente, in giudizio; non creda alle apparenze, andare in televisione è per me, da anni, una doverosa autoviolenza, che però lascia segni doloranti e ben poco in termini economici, a parte ai miei avvocati. La Sua lettera è emozionante e La ringrazio di essersi rivolto a me con una simile e incondizionata fiducia, ma non ho davvero niente del salvatore portatore di pietre filosofali “di persona”e devo ribadire il pensiero più volte espresso: la mia persona fisica, la mia presenza fisica, la mia voce sono “esaurite”, i miei libri no. Vive cordialità e buon lavoro, i Suoi ragazzi non potranno non essere toccati e graziati dalla sua squisitezza intellettuale e civile.
Busi