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Capodanno e altre aringhe – Un commento che merita

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Su richiesta di Aldo Busi, che lo ha molto apprezzato, diamo evidenza al commento del lettore Pier Angelo Sanna al post: “Capodanno e altre aringhe” 

Avevo nove anni quando un giorno, seduto sul cesso di un bar di Sassari a fare pipì, mi colpì un foglio bianco attaccato alla porta sul quale, in nero, c’era scritto: “I segni del tuo passaggio indicano il grado della tua civiltà.” Allora pensai che la civiltà che desideravo per me sarebbe stata questa: io non avrei lasciato alcun segno di me. Chi fosse arrivato dopo, non avrebbe dovuto avere nemmeno un lieve sentore della mia presenza antecedente. Sarei stato un bambino dotato di passo lieve e senza impronta. Del resto avevo già avuto il privilegio di stare su una sedia a rotelle, perciò me lo potevo, me lo volevo poter permettere, di volare camminando. Questi pensieri non hanno mai smesso di abitarmi, e con un’intensità tale da giungere a mettere in discussione persino ciò in cui credevo di più: la stessa parola scritta. Già, perché anche degli scrittori prediletti, anche dei Maestri più amati e più letti, una cosa non mi andava del tutto giù: il fatto che persino loro avessero lasciato un segno, sebbene il loro fosse lo stesso del quale io avrei usufruito con gioia. Lo Scrittore Civile per antonomasia per me era dunque Kafka, prima che Brod facesse di testa sua, cioè nostra di lettori vampiri. Poi, a distanza di quasi trent’anni, mentre sono qui a domandarmi che razza di umanità sia diventata la mia, mi giunge questo ennesimo capolavoro di Busi sulla generosità di chi ruba alla vita quel tanto che basta per restituire alla vita se stessa con gli interessi, ossia quel poco di vita presa in prestito più il tanto della propria. Un segno di civiltà che può essere solo la firma dello Scrittore, di Nessuno. E di colpo mi scopro seduto sullo stesso cesso dello stesso bar che non ha lasciato segno di sé nemmeno lui e è stato rimpiazzato – casi della vita – da una libreria, che io continuo a considerare un cesso nettamente inferiore a quello del mio ricordo perché non ha mai un libro di Busi che sia uno. Sulla porta del prossimo bagno dove metto piede, giuro che il foglio lo attacco io, e ci scrivo la stessa domanda sulla mia aringhità che, da tanti anni, mi pongo mutuando, vampirescamente, le parole del romanzo che ho finito di rileggere due giorni fa, scoprendo di non averlo mai letto prima: “Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente.” Nel mio caso nemmeno pisciatine apocrife. Grazie Busi.

Pier Angelo Sanna


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