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La mistificazione della realtà non è un errore privato – Matteo Marchesini recensisce “El especialista de Barcelona”

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Pubblichiamo la recensione dell’ultimo romanzo di Aldo Busi, apparsa nel numero di dicembre della rivista on line  L’Indice dei libri del mese , a firma di Matteo Marchesini.

El especialista de BarcelonaLa flessibilissima ma inconfondibile prosa di Aldo Busi si è incanalata fin dall’inizio in tre forme principali: il romanzo “picaresco” (Seminario sulla gioventù, Vita standard di un venditore provvisorio di collant), il romanzo-apologo grottesco e infernale, con personaggi allegorici simili a tarocchi (La Delfina Bizantina), e il pamphlet-journal senza trama (Sodomie in corpo 11). Se il romanzo-apologo è asfitticamente chiuso in se stesso e quasi impermeabile, tra le invenzioni delle due prime opere e i pamphlet c’è uno scambio evidente, se non altro perché il protagonista di questi testi mantiene caratteri praticamente invariati. In realtà, già a inizio anni novanta, è l’umorale journal a inghiottire e a sciogliere in sé la materia romanzesca, come si vede in Cazzi e canguri (pochissimi i canguri). Dopo gli esordi sontuosamente narrativi, lo scrittore inizia a dar conto di un progressivo isolamento dal mondo, a intonare uno stizzito requiem per quella Realtà che prima inseguiva avidamente. L’analisi di questa condizione esistenziale è stata ripetuta da Busi fino agli ultimi libri, dove i reportage dai luoghi più esotici descrivono solo il piétiner sur place di una vita giunta a una trasparente autosufficienza esperienziale, e dove su ogni paesaggio o siparietto narrativo prevale il ricordo e il soliloquio di un personaggio nauseato dalla disperante carenza d’essere degli umani e dei contesti sociali che ha attorno. Dopo avere cercato a lungo invano degli interlocutori capaci di sostenere rapporti paritari e completamente illuminati dalla luce spietata della ragione, dopo avere inseguito gli Altri, pur senza mai rinunciare alla propria integrità, con un’ostinazione struggente e con una disponibilità perfino oltranzisticamente servizievole, questo personaggio si è ridotto a trattare la realtà circostante solo come una sponda su cui far rimbalzare il riflesso sempre uguale del suo rapporto con se stesso. Quasi tutte le sue risorse le spende nel sottolineare le differenze che lo separano dai propri “simili”. I capisaldi della scintillante critica sociale e culturale che nasce da questo atteggiamento, ogni lettore di Busi li conosce bene.

L’io busiano si ritrae come il rappresentante di un modello rarissimo di gestione della vita intima e della vita civile, che per lui fanno una cosa sola. A plasmare i suoi comportamenti sessuali e politici è una stessa “volontà inflessibile” e stoica, un’intelligenza radicalmente laica impegnata a denunciare ovunque le menzogne che gli individui raccontano a se stessi per non affrontare l’imprevedibile, dura, “democratica” realtà. Secondo questo personaggio, chi si rifugia in immaginazioni o proiezioni risarcitorie, chi riesce a vivere solo nutrendosi di quelle perversioni che nascono dalla scissione tra ragioni e istinti, insomma chi va incontro all’altro solo armato dell’inganno della seduzione o dei ricatti sentimentali, timoroso di mostrarsi come davvero è, non sta commettendo un semplice errore privato, sentimentale o erotico, ma sta gettando le basi per quei rapporti di violenza che nascono da ogni mistificazione della realtà, e che producono poi, come effetto pubblico, le tirannie.

Questo leitmotiv lo ritroviamo anche in El especialista de Barcelona (Dalai, 2012), che però segna un ritorno al romanzo: qui la componente picaresca e le atmosfere dell’apologo grottesco-infernale fecondano di nuovo la digressione sbrigliata dei pamphlet, confluendo in un sorprendente compendio sterniano dell’opera dello scrittore. A far da contraltare al solito io “civile”, e dunque a rappresentare l’umanità che inganna e si autoinganna, è stavolta un “cattedratico especialista di madrigali portoghesi” e autore di deprimenti racconti gay. Si tratta di un ometto sudicio e vizioso, patetico e automistificatorio nella scrittura come nella vita: un tipo per cui l’esistenza è sopportabile solo se condita da dozzinali trasgressioni. E gli altri componenti della sua complicata, torbida famiglia non sono da meno. A cinquant’anni, el especialista è andato a vivere con un giovane fidanzato infantile e avido, lasciandosi alle spalle il matrimonio con una rapace e arida matematica divenuta una giallista di successo. Intorno a loro spuntano figli cresciuti allo sbando, un genero basco non si sa se terrorista, mantenuto o magnaccia, e tre nipotine avviate alla lap dance in tenera età. Muovendosi tra clamorose bigamie e uso disinvolto delle droghe, tra sete omicida di denaro o di fama e tranquilla tendenza alla prostituzione, l’especialista e i suoi congiunti incarnano una versione estrema del peggiore cinismo mascherato da libertarismo progressista. Il narratore ne misura tutta la portata durante una permanenza di qualche giorno in casa dell’accademico, poco prima che questi convoli a ricche nozze gay. In quel lurido appartamento barcellonese, abitato da gente che disprezza la praticità – altra forma di disprezzo per la realtà – l’io busiano si ritrova a fare “per scelta” ciò che nei romanzi d’esordio era costretto a fare per campare e per trovare un letto in qualche città straniera: lo sguattero. In poche ore, diventa per gli altri una specie di “straccio supersonico”, la cui attività culinaria è descritta in pagine di irresistibile brio. Come accadeva già nel Seminario sulla gioventù, di cui El especialista de Barcelona è quasi una parodia, l’alter ego dello scrittore si affaccia sul ménage dei suoi anfitrioni tra irritato e pietoso, e fiuta inquietanti segreti nell’aria. Anche qui, come spesso in Busi, abbiamo infatti un giallo trattato “en passant”. L’especialista vive in un condominio sinistro, in cui solo il settimo piano sembra abitato. Sull’altro lato del pianerottolo si apre il raffinato appartamento della misteriosa Hada, ex maschio di età veneranda legato all’accademico da oscuri rapporti di parentela e di dominio. Hada rappresenta un altro tipo umano caratteristico dei romanzi di Busi, e speculare a quello dell’especialista: se lui si lascia travolgere dall’irrealtà e dalle perversioni, “lei” sfrutta freddamente le perversioni altrui, e sul bisogno degli uomini di mentire a se stessi odi sottomettersi a qualcuno costruisce una carriera quasi regale, tra commerci di “macchine inculanti” e intrighi con la peggiore politica mondiale. Questa femmina travestita e thrilling, emblema di morte e potere, appartiene alla sparuta categoria dei personaggi – quasi tutte “donne” – coi quali l’io busiano instaura un rapporto da pari a pari: è sorella della Geneviève e del Seminario sulla gioventù e della Belart di Vita provvisoria [sic. Vita standard di un venditore provvisorio di collant ndr], anche se in più ha tratti da fumetto nero che fanno pensare ai tarocchi della Delfina Bizantina e alle figure di Vendita galline km 2.

La storia di Hada, dell’especialista e del narratore (che “tra l’incudine del despota e il martello del finto debole despota mancato” cerca una terza forma di vita al di fuori dei rapporti di dominio) sono immerse in un flusso di coscienza in cui tutto tende a farsi sincronico. Ogni brandello di frase è uno sprazzo di cinema aperto su un luogo e un tempo diverso della vita, che prima di essere cancellato da un gesto di rapida pietas riemerge con tutta la scia sensoriale dell’esperienza che vi si svolse ancora intatta e fragrante. Subito nella prima pagina, l’olfatto è chiamato a evocare il vecchio odore di piscio della Rambla barcellonese, qui associato alla teologia ratzingeriana. È un odore sospeso tra ricordo e presenza, come tutto in questo libro. Da dove ci parla il narratore, a quale distanza si colloca davvero da Barcellona? La verità è che anche qui le mete dei viaggi sono indici di realtà ormai insapori e fungibili. Non esistono più davvero i luoghi; e non esistono gli altri. “C’erano una volta gli altri…”: così inizia il romanzo. E in mancanza degli altri, il narratore elegge a interlocutore una foglia di platano della Rambla, che tiene onorevolmente testa alla sua loica ironia. Torna in mente Seminario sulla gioventù, dove Barbino ballava non per la gente ma per le palline appese a un platano. Solo che allora “la realtà” e “gli altri” erano miniere dense di scoperte; mentre adesso, alla foglia che pretende più trama, il narratore risponde piccato: “Non hai ancora capito che la trama sono io e le digressioni quelle altre?”.

Il fatto è che ne El especialista de Barcelona, romanzo al quadrato o al cubo ma per altri versi “radice quadrata” di romanzo, mentre imbastisce le sue trame lo scrittore espone i meccanismi dell’immaginazione che le secernono: e così M. ne tiene sospesa a mezz’aria la credibilità, fingendo una scrittura a inchiostro simpatico che vorrebbe via via “autocancellarsi” per mantenere l’aleatorietà del pensiero in fieri. Nel fare tutto questo, Busi è al solito molto bravo. A volte, è vero, potrebbe venire in mente la famosa frase di Segre su Pizzuto: “Una bravura che ci si stanca di ammirare”. E, tuttavia, è una bravura di un tipo parecchio diverso da quella dei nostri più caratteristici “stilisti”. Gli italiani sono abituati a una prosa barocca rigida, meccanica, statica, a quelle inamidate performance alla Gadda che, per dirla con le parole di Busi, dimostrano molto senso della lingua ma pochissimo senso del palato. L’autore de El especialista de Barcelona ci propone invece una scrittura che nella sua puntigliosa quanto immaginosa precisione, nella sua alternanza di chilometriche frasi sbilenche e di improvvisi, sardonici tagli monosillabici, finge anche quel margine di improvvisato, di approssimato e di imperfetto che la fa muovere e che descrive la parabola di un pensiero inscindibile dal suo movimento, dal suo “corpo”. Ed è questa, mi pare, una delle non ultime ragioni della sua eccezionalità.

Matteo Marchesini


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